L’istituto del condominio era conosciuto già in epoca romana con il termine di “insula”, ed è stato codificato all’interno del Codice Civile del 1942 per l’esigenza di fornire un dettato normativo all’aggregazione di persone in edifici di dimensioni notevoli.

La regolamentazione all’interno del Codice Civile del condominio è contenuta sistematicamente subito dopo la disciplina dell’istituto della comunione, e la scelta del legislatore dell’epoca non è affatto casuale.

Il condominio e la comunione, infatti, hanno tra di loro notevoli punti in comune, ed è previsto per il condominio ex art. 1139 che “per quanto non espressamente previsto si osservano le norme sulla comunione in generale”.

Le due fattispecie, quindi, sono tra di loro legate a filo doppio, e il condominio rappresenta una fattispecie strettamente dipendente da quella della comunione di cui rappresenta la traduzione normativa negli edifici.

La differenza essenziale tra i due istituti ,infatti, è che, mentre la comunione definita dall’art 1100 CC si ha quando “la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a due o più persone”, disponendo quindi che la comunione può riguardare qualsiasi tipo di bene, il condominio riguarda esclusivamente gli edifici.

Da ciò possiamo quindi porre in evidenza che non possono essere presi in condominio beni come auto, barche o palloni.

Un’ulteriore differenza tra le due fattispecie normative è che il condominio ricomprende sia beni di proprietà esclusiva (l’appartamento del condomino), che beni in comune (es. androni, tetti e portici): proprio a queste ultime si riferisce la disciplina codicistica del condominio.

Un edificio è in comunione quando due o più soggetti sono comproprietari dell’intero edificio, mentre è in condominio quando ogni soggetto è proprietario esclusivo di uno o più appartamenti e proprietario in comune di parti dell’edificio quali quelle ivi sopra elencate.

Nel condominio, inoltre, le quote sono, generalmente, ripartite in maniera proporzionale rispetto al godimento comune dei beni, mentre nella comunione, come stabilito ex art. 1102, “le quote si presumono eguali”, salvo differente previsione dei comunisti.